Val Tramontina e Val Cellina
Peta

A seconda della località di produzione viene detta petuccia, petina o pitina e consiste in carne di selvaggina tritata e impastata con sale, pepe, finocchio selvatico o altre erbe, pressata e quindi fatta affumicare. Le sue origini risalgono alla prima metà del 1800 e sono legate alle vallate della provincia di Pordenone.
Più che un insaccato la peta è una polpetta di carne tritata finemente, salata, speziata, cosparsa di farina da polenta, asciugata e affumicata sotto la cappa del camino, che probabilmente derivava dalla necessità di conservare le carni cacciate e non consumate immediatamente.
Ancora oggi si perpetua questa tradizione gastronomica, prevalentemente a livello artigianale da alcune famiglie della provincia di Pordenone ed insieme alla carne di selvaggina viene usata carne di maiale (lardo o capocollo) per smorzare il sapore intenso e un po’ selvatico della carne di capriolo, capra o pecora.

L’affumicatura si realizza con diversi legni aromatici, a volte mescolati tra loro (ma con la prevalenza del faggio).
Generalmente la peta viene mangiata cruda a fettine, dopo almeno 15 giorni di stagionatura, ma è ottima anche cucinata. Può essere scottata nell’aceto e servita con la polenta, rosolata nel burro e cipolla e aggiunta nel minestrone di patate, o ancora fatta al cao, cioè cotta nel latte di vacca appena munto.
Naturalmente la si abbina a vini del luogo: si può spaziare dal Sauvignon al Pinot Grigio, anche se forse il tradizionalissimo Tocai alla fin fine resta il miglior accompagnamento.

Suggerimenti

La peta rischiava di scomparire in quanto non era conosciuta al di fuori della zona pedemontana del Friuli e i produttori erano sempre di meno. Per tale motivo è stato istituito un Presidio Slow Food, sostenuto dalla Banca di Credito Cooperativo di San Giorgio e Meduno e da Montagna Leader, che ha riunito quattro produttori per valorizzare e promuovere questo prodotto unico, che porta con sé antichissime tradizioni di queste valli.

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